È ritornata negli anni Cinquanta, dopo l’eroica stagione delle Avanguardie, la maglieria in forma d’arte ad opera di designer e creatori di tessuti.

Dagli anni Settanta sono all’opera artisti della vestibilità dei corpi, delle cose e anche dei paesaggi.

La maglieria è tornata ad essere medium artistico a tutti gli effetti e viene sondata nelle sue possibilità espressive come modo di fare arte e insieme come approccio ai nuovi scenari di una progettualità, che esplora i binomi arte e moda, artigianato e moda, tecnologia e moda.

L’arte indossabile

Anche Bettina Buttgen è un’artista del tessuto e insieme una textile designer: crea tessuti d’arte indossabili. Li tesse, li tinge con colori da lei preparati, li pittura e ne progetta e predispone i possibili usi: possono avvolgere il corpo come sciarpe, stole, coprispalle o ad esso annodarsi, tramite appositi “tunnel”, bordi laterali della stola, ripiegati e chiusi in modo tale da consentire l'inserimento delle braccia o della testa, o aperture o “occhi”, fori praticati nel tessuto che ne permettono la chiusura. Ma possono anche essere appesi e contemplati come quadri per la loro bellezza e intensità espressiva.

 

bettina buttgen

La passione e la valenza non solo simbolica ma anche poetica e sensuosa, tattile e visiva, dei suoi tessuti danno forma a infinti mondi di stoffa, a oggetti carichi di narrazioni. I tessuti sono scelti e progettati come materia viva.

Ciò che struttura la fascinazione dei tessuti della Buttgen sono gli immaginari e la sensibilità estetica, che, insieme a una raffinata sapienza delle tecniche di filatura, cardatura, composizione dei colori, infeltrimenti, sta a monte della sua sperimentazione sui tessuti



Anzitutto c’è la scelta e la combinazione dei materiali,

tutti naturali, assunti per le loro valenze tattili e visive: anzitutto seta e pura lana merino e cashmere. Ma anche il delicato, il morbido e trasparente chiffon, il più resistente crinkle chiffon, dalla superficie increspata, l’elegante e rigido organza, per ottenere “sculture indossate", l’innovativo Garze, per la sua luce unica e nobile, il georgette, per l’aspetto fluido e cascante, il nobile crepe de Chine, facile al drappeggio. E infine i misti naturali: seta-lana, seta-bambù, seta-lino, seta-cotone, seta-cashmere, ecc. Le proprietà tattili dei tessuti sono fondamentali: bisogna toccarli per comprenderli. In essi il valore tattile è infatti primario: è punto di partenza di un’esplorazione conoscitiva dei materiali condotta attraverso l’introspezione, sensoriale ed emotiva. È così che il tessuto viene restituito alla proprio corporeità e colto come “organismo”. E si possono esplorare i suoi segreti e possiamo sentire il “suono del colore” nel materiale ed è possibile cogliere il calore della seta pura o la morbidezza della lana.

 

bettina buttgen

L’intonazione di ciascun capo si dà poi a partire dall’immersione della sua superficie in una continua e distesa intensità di colore e di luce. I tessuti vengono infatti colorati e dipinti per declinarli in un ampio spettro cromatico. È con la pittura che Bettina Buttgen narra la sua vita interiore: una pittura fatta di emozioni che diventano linee e colori, luce e materia, trasparenze e incrostazioni.

In alcuni tessuti il colore si intensifica e eccita la luminosità a tal punto da giungere a materializzare la luce orientale dei cieli mediterranei, in cui il colore sfuma in un continuum trasparente, impalpabile. E può sondare le trasparenze delle acque e le profondità del mare. In altri porta a un’enfatizzazione della bidimensionalità piana, controcanto ad ogni direzione di vettorialità. L’organizzazione spaziale per fasce o strisce cromatiche evidenzia contiguità e contrasti, e il gesto che l’ha istituito, nella sua dinamica e processo, in una struttura topologicamente continua e non frammentata. E ne fa una sorta di partitura musicale costituita dal ritmo del gesto, una partitura che ha la stessa matrice generativa e la sua grammatica nei diversi addensamenti cromatici. In altri il colore viene messo alla prova con modulazioni che possono esaltare la saturazione e la luminosità, la trasparenza e la densità materica, le sue ombre, le sue profondità, la sua drammatica oscurità.

È un colore pulsante, sensuoso, carnale, un colore-significato, un colore cioè che evoca lo stupore di fronte a ogni creatura del mondo, l’albero e la foglia, il fiore e la pietra, l’immensità del mare e quella dei cieli nel loro perenne mutare, il battito d’ala di un uccello, l’immobilità estatica di un geco. È negli oggetti umili che si ordinano tutti i pensieri più segreti e solitari. È in essi che brilla il sole. E per questo i suoi tessuti ci restituiscono uno sguardo aurorale e incantato di un mondo liberato dalla decadenza, dalla dissipazione, dalla caoticità senza senso, colto nel fluire della vita. Vediamo, guardando i suoi tessuti, il mondo della realtà quotidiana e dell’esperienza incontrarsi con quello delle cose, degli esseri, delle storie, delle vite. L’esperienza è ancorata nel tessuto della vita. E, indossandoli, il corpo è a sua volta materia che sogna.

Ora ha il suo atelier nel parco termale del Negombo a Ischia, un luogo a sua volta onirico, in cui natura, arte del giardino e opere della grande arte del Novecento dialogano insieme. È qui che si è fermata e si riconosciuta, e ha il suo “luogo”, in cui ritrovare e riconnettere le emozioni dell’infanzia in Germania, a contatto con la natura, quelle dei suoi viaggi e delle esperienze in Costa Brava, in Polonia, in Inghilterra… È appunto in questo luogo, che Martin Blume,ha realizzato un servizio fotografico, a lei dedicato, di straordinaria intensità. Fissando il nostro sguardo, con il suo magico occhio fotografico, sui particolari, ci cattura con il gioco delle trasparenze, degli addensamenti e delle incrostazioni materiche, e ci fa entrare nel corpo dei fili, delle trame, degli orditi e in quelli del colore, della pittura, del segno. Ci induce a fermare lo sguardo sulla loro superficie per esplorarne gli addensamenti, i pallori, le accensioni. Ed ecco che, quando l’incanto ci cattura, il nostro sguardo viene colto da un abbaglio, come se la luce fosse all’improvviso diventata troppo intensa, ed è allora che la nostra attenzione si concentra sul segno, sulle linee, sul pennello o si immerge nelle profondità della materia e del colore. È una visione tattile, che avvia a spazi onirici, sospesi in un tempo immobile e un presente eterno in cui si congiungono sogno e veglia, terra e cielo, o si mescolano le acque del sogno e del reale.

La fotografia, macchina che sogna, come diceva Benjamin, ci restituisce il senso profondo dell’operare artistico che consiste nel reimparare a vedere il mondo, attraverso l’occhio dell’artista che sogna il sogno della materia. E anche l’artista e le sue opere e il paesaggio-giardino diventano tutt’uno. Lei al telaio, lei mentre prepara i colori e il trasparire del suo volto dietro i tessuti appesi ad asciugare, lei che abita il parco-giardino come se fosse il grembo materno, mentre i suoi tessuti si fondono con la corteccia dell’albero.

L’arte indossabile non è l’opera d’arte sotto forma di quadro, di opera conchiusa in se stessa in uno spazio e in un tempo assoluti. Ma è arte-vita, sguardo che rinnova, è restituzione degli occhi, del tatto, del suono, dell’odore delle cose. È visionarietà che oggi non riguarda più l’invisibile ma il visibile. È l’effimero che crea il mondo e lo fa essere, sono le storie, gli eventi, le emozioni che fanno il senso della vita. È vita che è erranza, memoria e rammemorazioni nell’essere qui e ora nel momento fermato nella creazione. Della vita la tessitura, le cui origini affondano nella notte dei tempi, è da sempre metafora.. Intreccio, trama, ordito, filo, nodo sono il modo stesso di essere-nel-mondo del pensiero, della filosofia. Il tessuto è la parola, che crea il mondo, come ancora dicono i Dogon.

Così i suoi capi, ognuno un pezzo unico, fatto a mano, hanno un nome che rimanda all’immaginario che li ha posti in essere, è il nome-titolo è il colore dell’opera, come diceva Duchamp. La sua firma-logo, una B dentro l’altra, si configura come una spirale che si espande ritornando su se stessa a unire l’arcaico e il contemporaneo, l’archetipo continuamente ricreato e la grazia dell’effimero e del fluire nel tempo.

Eleonora Fiorani

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